LA CORTE DI CASSAZIONE
    Ha  pronunciato  la  seguente  sentenza  sul  ricorso proposto dal
 procuratore generale presso la  Corte  d'appello  di  Catania  contro
 Romano  Emanuele,  nato  a  Siracusa  il  1½  giugno 1953, avverso la
 sentenza 22 giugno 1990, del tribunale di Siracusa;
    Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
    Udita in pubblica  udienza  la  relazione  fatta  dal  consigliere
 Antonio Morgigni;
    Udito  il  pubblico ministero in persona del sostituto procuratore
 generale Izzo  che  ha  concluso  per  annullamento  con  rinvio  per
 violazione di legge;
                             O S S E R V A
    Il  22  giugno  1990  il tribunale di Siracusa, su richiesta delle
 parti, ha applicato  la  pena  di  mesi  uno  di  reclusione  e  lire
 cinquantamila  di  multa  e  lire settecentocinquantamila di ammenda,
 sostituendo poi la pena detentiva con lire settecentocinquantamila di
 multa, a Romano Emanuele in riferimento ai seguenti reati:  a)  reato
 di  cui  all'art.  1, primo comma, della legge 7 agosto 1982, n. 516,
 per avere omesso, nella qualita' di amministratore unico della  ditta
 Alfa  immobiliare  di presentare la dichiarazione dei redditi per gli
 anni 1984 e 1985; b) del reato di cui all'art. 1, ultimo comma, della
 legge  7 agosto 1982, n. 516, per avere omesso di tenere regolarmente
 nella sua qualita'  di  amministratore  unico  della  ditta  Alfa  le
 scritture  I.V.A.;  c)  del  reato  di cui all'art. 2, secondo comma,
 della legge n. 516/1982  per  avere  omesso  nella  sua  qualita'  di
 amministratore  di versare all'erario le ritenute alla fonte, operate
 per l'anno 1984, ammontanti a L. 402.795.
    Ricorre il procuratore generale deducendo violazione dell'art.  54
 della   legge   24   novembre  1988  n.  689,  essendo  possibile  la
 sostituzione solo per i reati di competenza del pretore.
    Reputa  il  collegio  che  sia  rilevante  e  non   manifestamente
 infondata  la  questione  di  legittimita'  costituzionale, sollevata
 d'ufficio, del menzionato art.  54  in  relazione  all'art.  3  della
 Costituzione.
    Va innanzi tutto osservato che l'art. 444 del cod. proc. pen., nel
 disciplinare  l'applicazione  della pena su richiesta, non ha dettato
 una nuova regolamentazione delle sanzioni sostitutive. Ne deriva  che
 si  deve  fare  riferimento  agli  artt. 53 e seguenti della legge 24
 novembre 1981, n. 689.
    L'art. 54 citato  prevede  che  "la  pena  detentiva  puo'  essere
 sostituita  con  le  pene  indicate  quando  si  tratti  di  reati di
 competenza  del  pretore,  anche  se  giudicati,  per  effetto  della
 connessione, da un giudice superiore ..".
    Sembra  al  collegio che la disposizione non sia piu' razionale ed
 adeguata allo sviluppo, che  ha  avuto  la  legislazione  processuale
 nella  vigenza  ultradecennale  della  legge n. 689/1981, creando una
 situazione di contrasto con il principio  di  cui  all'art.  3  della
 Costituzione.
    All'epoca,  il pretore si occupava di reati che nel loro complesso
 potevano  considerarsi  minori.  Attualmente  invece  la   competenza
 pretorile  e' stata notevolmente ampliata, portata in via generale ai
 reati per i quali e' prevista una pena detentiva  non  superiore  nel
 massimo a quattro anni.
    Sono  stati  inoltre  attribuiti al pretore il furto aggravato, la
 truffa aggravata, l'omicidio colposo di cui  all'art.  589  del  cod.
 pen.
    Ritiene   quindi   il   collegio   che  la  scelta,  a  suo  tempo
 coerentemente compiuta dal legislatore e come tale insindacabile, sia
 oggi priva di quella ragionevolezza, necessaria a mantenere ferma una
 diversita' di trattamento innanzi  alle  differenti  magistrature  di
 merito.
   Venuta  meno la ratio della disciplina, e' rimasta tuttavia vigente
 la disposizione, divenuta "odiosa" e non piu' giustificata in un  re-
 gime    processuale   radicalmente   mutato:   essa   ingenera   solo
 incomprensibile discriminazione.
    La necessita' di adire la Corte costituzionale  deriva  anche  dal
 rilievo  che  la  giurisprudenza  di  questa Corte - e cioe' il c. d.
 "diritto vivente"  -  e'  costantemente  orientata  nel  senso  della
 vigenza  della  norma  de qua e non della sua tacita abrogazione (per
 tutte Cass., sezione seconda, ud. 9 gennaio 1991, n. 29).
    Deve essere pertanto sollevata di ufficio, in quanto rilevante per
 la decisione, la questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.
 54  legge  24  novembre  1981,  n.  689,  nella  parte  in cui limita
 l'applicabilita' delle pene sostitutive a quella  detentiva  solo  ai
 reati  di  competenza  del  pretore, per contrasto con l'art. 3 della
 Costituzione.